Racconto 1/12: non finisce qui!

Ci si sveglia alle prime luci del giorno, come al solito. L’aria è meno gelida oggi, ma sopra di noi incombe un cielo di piombo. Kobane è solo una sagoma nella nebbia. A renderla immediatamente riconoscibile sono gli echi dei combattimenti, come al solito, costanti e ormai familiari come il suono dei clacson a Roma; con una differenza,ad ogni scoppio gli occhi della gente si dirigono a sud in un breve e scuro pensiero. Se abbiamo capito qualcosa dei curdi in questi giorni, oltre a un loro irriducibile orgoglio, è un’ospitalità senza pari, uno spirito di condivisione e gentilezza tipico di chi vive con poco ma è contento di dividerlo. Oggi c’è però qualcosa di diverso. A parte i soliti curiosi o quelli con la voglia di chiacchierare, una costante di questo viaggio, siamo da subito attorniati da persone. C’è chi vuole fare una foto con noi, chi ci bacia, chi ci placca per raccontarci la sua storia o chiedere della nostra. Alcuni di noi passano parte della mattina attorno ad una brace, tra ripetuti giri di thè con diversi uomini del posto, anziani e giovani. Si tenta di comunicare goffamente: scambi verbali quasi ridicoli tra italiano, curdo, brandelli d’inglese stentato e tanti gesti. Chi di noi resta più operativo e ligio al dovere si chiude in una grande tenda con le “madri della pace”, organizzazione di madri di detenuti, combattenti, martiri della causa; e con gli anziani dell’associazione “Iniziativa del ‘78”: reduci dell’ondata rivoluzionaria che caratterizzò la Turchia negli anni ’70. Ne esce un’intervista lunga, piena di significato, tra i racconti di questi uomini e queste donne che portano nel loro sguardo la storia di un popolo massacrato da genocidi, carceri, repressione, isolamento eppure non ancora disposto alla resa. Verso le dieci ci riuniamo tutti assieme al resto del villaggio per il rito quotidiano della catena umana: una lunga fila di uomini, donne ,bambini, disposti a semicerchio verso Kobane. Si levano alti e scanditi i cori di incitamento ai combattenti del YPG/YPJ. Un ruggito possente di mille voci che urlano il loro orgoglio e la vicinanza ai propri guerrieri. Avevamo già visto, ma mai partecipato. Se la cosa ci aveva colpito, ora possiamo dire che è qualcosa di impressionante prendere parte a un rito collettivo di tale forza evocativa.